L'arte di Vincenzo Agnetti
 

Vincenzo Agnetti è presente nell’avanguardia italiana dagli anni cinquanta all’inizio non come artista in sé, ma come teorico in seno alla rivista Azimuth (Piero Manzoni, Enrico Castellani) che nella Milano dell’epoca rappresentava la punta più avanzata della ricerca sperimentale.

Nel suo excursus artistico egli scelse il linguaggio verbale, la scrittura, come veicolo principale e oggetto di analisi. Entrambi, per l’artista, rappresentano il tramite più diretto alla comunicazione del pensiero.

L’uso che Agnetti fa del linguaggio si presenta immediatamente come un modello di comunicazione non-convenzionale, “un inoltrarsi oltre, un aggirarsi in un altrove del senso” che l’artista esprime, dalla seconda metà degli anni ’60 in una sequenza di lavori straordinariamente concettuali.
Le “Tesi” sono un libro che vuole essere un’opera d’arte visiva, da guardare ancora prima che da leggere.
“Confine” è un’opera-quadro dove il bordo quadrangolare della cornice si offre come supporto per le lettere, mentre il centro del quadro resta muto. Volutamente uniformemente bianco.
I “Permutabili” sono tavole senza più parole, redatte su superfici monocrome bianche.

Con “Macchina Drogata” trasforma una calcolatrice in un “oltre” meccanico. I tasti della calcolatrice digitano lettere e non numeri.
Nella serie dei “Feltri” Agnetti sperimenta un linguaggio letterario in cui costruisce possibili micro narrazioni utilizzando come supporto superfici di feltro di diverso colore.

Un excursus straordinario nel linguaggio il suo, che lo porta a un livello di sperimentazione elevatissima, il cui indice è quello di un “conoscere universale” che appartiene a tutti, semplicemente per il fatto di essere “esseri umani”.
Le declinazioni specifiche datano 1973, anno in cui l’artista realizza la “Tavola di Dario tradotta in tutte le lingue del mondo” un’opera nella quale riflette sulla storia della scrittura e della comunicazione.
La “Tavola” è concettualmente un reperto riconoscibile, che culturalmente appartiene all’umanità intera. Essa è redatta in caratteri cuneiformi, una delle prime forme di scrittura documentata nel Vicino Oriente che, nell’opera di Agnetti subisce una “riduzione” in “un linguaggio definitivamente sottratto al suo mistero e reso universale”.

Era chiaro a tutti ormai che per Vincenzo Agnetti fare arte era un modo di andare alla ricerca dell’essenza della vita. Lo fa con “Architettura tradotta per tutti i popoli” e quindi con “I Ching” in cui crea una “tela libera” che reca l’esagramma del libro sapienziale cinese il cui il simbolo fa riferimento al trascorrere delle stagioni.